Com’ero all’inizio di quella che io ho definito “una nuova avventura”, e che invece si è trasformata in una serie di avvenimenti più o meno negativi senza essere ancora arrivata all’ultima puntata? E’ difficile ricordare precisamente come mi sentivo. L’inizio, quando avevo la quasi certezza di rimanere incinta, passare nove mesi serenamente (pur con tutte le ansie del caso) e poi partorire. Fine. Mission accomplished, perché io mi accontentavo, anzi volevo, un solo figlio. E così, forte della mia cultura in ambito di concepimento, gravidanza e parto, pensavo di essere già a metà dell’opera. Sì, perché ho sempre letto molto a riguardo. Già a 20 anni, pur non essendo minimamente interessata a riprodurmi, sapevo cosa fosse un’amniocentesi, o un’episiotomia, e mi tenevo informata sui progressi della scienza. Avevo una conoscenza sommaria delle procedure di procreazione medicalmente assistita, pur senza sapere i dettagli e i nomi dei farmaci, e del fatto che prima di cercare un figlio fosse meglio fare gli esami preconcezionali. Si chiamano così apposta: perché una coppia li fa prima, in modo da escludere le cose più gravi come l’anemia mediterranea o l’epatite B. Ma il 99% delle persone non li fa, non sa nemmeno che deve farli. E nemmeno che deve prendere l’acido folico prima di essere incinta, perché dopo è potenzialmente troppo tardi. Quindi io ero avanti. Forte del mio acido folico, dei miei esami a posto, del mio ciclo ovulatorio, puntuale. Del mio utero sano e delle mie ovaie funzionanti. Del mio peso nella norma e della mia salute di ferro.
All’inizio funziona così: inizi a provare e quasi speri subito in un ritardo mestruale il mese dopo. Io ero in vacanza dall’altra parte del mondo, mi ricordo benissimo. E ricordo che mentre passeggiavo sulle montagne ricoperte di piantagioni di tè, una mattina ho avuto un po’ di nausea e un giramento di testa. Tutta contenta, ho detto a mio marito: “Oh, magari siamo già riusciti e torniamo dalle vacanze in tre!”. Non ho pensato nemmeno per un attimo che il mio momento di malessere potesse essere l’effetto del fuso orario sballato o dell’altitudine, uniti al clima tropicale. No, quasi pensavo di essere incinta. E in quel viaggio, come in alcuni altri viaggi precedenti e successivi, abbiamo comprato un regalino per il nostro bambino. Romanticamente, da illusa, compravo piccole cose pensando che un giorno gliele avrei date dicendo: “Questo l’abbiamo comprato per te, quando ancora tu non c’eri”. Le illusioni dell’inizio. L’innocenza di pensare che bastava arrivare a un test positivo e poi la strada sarebbe stata più o meno tutta in discesa. L’ultimo giorno di quelle vacanze, inizio agosto 2009, sono tornata con le mestruazioni. Non aveva funzionato, ma che cosa importava? Avevamo tanto tempo davanti a noi e mica eravamo così illusi da pensare che potesse andar bene al primo tentativo, vero?